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IL VETRO: lavorazione a murrine, filigrana e reticello.

Vittorio Zecchin per Vetreria Barovier  1920 In questo vaso le murrine sono composte in modo da formare un paesaggio con alberi e fiori. Le murrine sono disposte su un piano orizzontale nella composizione voluta e vengono inglobate in uno strato di vetro cristallino, il tutto poi viene soffiato. La lavorazione a murrine, detta anche "millefiori" è una tecnica già nota ad Alessandria d'Egitto nel primo secolo a.C. e da lì importata nelle vetrerie romane circa due secoli dopo.
La prima operazione consiste nella preparazione di canne di vetro, ognuna di colore diverso e nel saldarle insieme per ricavarne una sola a più colori.Questo grosso cilindro viene poi scaldato e allungato in modo da ottenerne uno molto più lungo e sottile che mantiene però la composizione e i colori di partenza.
Una volta raffreddato il cilindro, si tagliano delle rondelle, queste vengono racchiuse da un cordoncino di vetro ad anello, disposte in piano e scaldate fino a saldarle.Il disco così ottenuto viene di nuovo riscaldato e appoggiato ad una forma a cupola che lo modella a coppa.
Variando la composizione della canna colorata si possono ottenere murrine con all'interno disegni di ogni forma: stelle, rosette, silouette di animali e anche piccoli ritratti.
A Murano, a partire dal XV secolo si utilizzano le murrine anche per creare oggetti soffiati, in questo caso le sezioni di canna vengono inglobate nel bolo di vetro fuso.
La lavorazione a murrine passa da Venezia, dapprima in Francia e Boemia e successivamente in Inghilterra e negli Stati Uniti. Una tipica lavorazione a murrine sono i fermacarte o presse papier in vetro sommerso tipici della produzione francese e boema.
Il termine murrina deriva dai vasi in murrha portati da Pompeo dall'Oriente nel 61 a.c. ed esposti nel tempio di Giove Capitolino. Questi erano realizzati con una varietà di fluorite, pietra profumata grazie alle resine usate come leganti durante il taglio e la lavorazione.

Coppa a mosaico Manifattura romana 1mo sec.d.C.-vetro murrino. Museum of glass Corning

Piatto a retortoli
  Manifattura di Murano seconda metà del XVI sec.- Murano Museo vetrario
Con il termine di "vetro a fili" o "filigranato" si indica un tipo di lavorazione del vetro trasparente con inclusione di canne vitree opache di solito in vetro lattimo o colorato.
Le canne non sono usate a sezioni come nelle murrine ma per l'intera lunghezza. Il vetro a filigrana detto anche "retortoli" è un'invenzione cinquecentesca della bottega muranese di Bernardo e Filippo Serena.il procedimento è registrato in un documento del 1527 e prevede come prima operazione la preparazione di sottili canne di vetro cristallino contenenti spirali e fili di lattimo semplici o intrecciati. I segmenti così preparati vengono disposti su una pietra, scaldati e raccolti intorno ad una massa di vetro cristallino leggermente soffiata.
Per inglobare le canne nel vetro, la massa viene fatta rotolare sulla pietra (chiamata bronzino) si congiungono quindi le estremità dei retortoli e si taglia la parte finale.A questo punto il bolo è pronto per essere soffiato liberamente o a stampo. In questo modo il vetro si assottiglia e la trama delle filigrane, gonfiandosi diventa sempre più leggera e delicata.


Fazzoletto zanfirico Fulvio Bianconi per vetreria Venini- 1949 lavorazione a canne a retortoli.


Questa lavorazione è particolarmente complessa ma ottiene un effetto decorativo di grande leggerezza che non disturba le nitide ed eleganti forme della vetraria rinascimentale.
Nella foto del piatto in alto sono bene visibili i segmenti di canna con all'interno i fili di lattimo ritorti ed intrecciati che con la soffiatura si allargano. I piatti in filigrana hanno al centro una specie di ombelico rilevato esternamente, è il punto dove gli estremi delle canne a retortoli si uniscono nel punto in cui sono attaccate al pontello.Sul retro a questa punta, corrisponde un incavo.
Negli anni cinquanta dell'Ottocento in un clima di interesse per gli oggetti antichi, un antiquario veneziano Antonio Sanquirico, fa realizzare copie di vetri filigranati del Cinquecento che sono stati poi venduti come autentici.Molti di questi oggetti sono molto diffcili da distinguere dagli originali.
Dal cognome di questo antiquario è derivato il nome " zanfirico" con cui oggi vengono chiamati i vetri a retortoli.


Piatto a reticello
Manifattura di Murano- seconda metà del XVI secolo- Bologna Museo Civico Medievale
Assieme al vetro a retortoli nel cinquecento viene elaborata un'altra tecnica per la lavorazione della filigrana: il reticello con il quale si realizzano straordinari piatti ed oggetti vari.
Il reticello è ancora più complesso e richiede una grandissima abilità da parte del vetraio che procede preparando canne di vetro cristallino contenenti un solo, sottile filo di vetro lattimo o di vetro colorato.
I segmenti di canna vengono posti sul bronzino e dopo essere stai scaldati vengono inglobati in una massa di vetro cristallino leggermente soffiata.
All'estremità opposta della canna da soffio viene unito un pontello, una sbarra di ferro sostenuta da un aiutante.
A questo punto il bulbo viene fatto ruotare in modo da ottenere un andamento diagonale. Il vetro viene ulteriormente soffiato e la bocca allargata.Separatamente il vetraio realizza un altro soffiato analogo ma con i filamenti girati dlla parte opposta. Questo vetro viene soffiato all'interno del primo in modo che le parti aderiscano perfettamente formando una sottile rete di fili diagonali. Una volta realizzato il reticello è possibile manipolare ulteriormente la massa vitrea per ottenere piatti, vasi, brocche, alzate ecc.
Nei reticelli è possibile vedere piccole bolle d'aria contenute in ognuna delle maglie, infatti l'aria resta intrappolata tra i due strati di vetro.
C'è da segnalare che lo spessore di questi oggetti è sorprendentemente sottile.


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