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GIOVANNI PASCOLI - Visita alla casa natale.

Giovanni Pascoli (San Mauro, odierna San Mauro Pascoli, 31-12 1855 - Bologna 6-4-1912)

Quarto di ben 10 figli di Ruggero e di Caterina Vincenzi Alloccatelli Vincenzi.
Dal padre, Ruggiero, amministratore della tenuta La Torre dei principi Torlonia, lungo il Rio Salto, fu mandato a studiare, dopo la prima elementare, a Urbino, nel collegio Raffaello, tenuto dagli Scolopi. Qui egli si trovava con i fratelli Luigi e Giacomo, più grandi di lui, e Raffaele, quando lo raggiunse la notizia della morte del padre, ucciso in un agguato il 10 agosto 1867, mentre tornava in calesse da Cesena, dove si era recato per affari. L'assassino restò impunito, anche se non mancarono i sospetti, a lungo coltivati da Pascoli.
L'anno dopo morirono la sorella maggiore, Margherita, e la madre, seguite dai fratelli Luigi (1871) e Giacomo (1876). Dal 1873, vinta una borsa di studio, Giovanni si era trasferito a Bologna a studiare lettere, allievo di G. Carducci, entrando in un periodo di sbandamento spirituale e d'irrequietezza. Amico di A. Costa, aderì ai primi movimenti socialisti e si legò agli ambienti dell'estremismo.
La cavalla storna

Per aver partecipato, nel maggio 1876, a una manifestazione ostile nei confronti del ministro dell'Istruzione, R. Bonghi, perse la borsa di studio; dal 7 sett. al 22 dic. 1879 fu addirittura in carcere, accusato di attività sovversive.
Ripresi nel 1880 gli studi interrotti, si laureò nel 1882 con una tesi su Alceo; subito dopo fu nominato professore di lettere latine e greche nel liceo di Matera; nel 1884 fu trasferito con lo stesso incarico a Massa, dove chiamò presso di sé le sorelle Ida e Maria ; dal 1887 al 1895 insegnò al liceo di Livorno. Dal 1895 al 1897, insegnò come professore straordinario grammatica greca e latina nell'università di Bologna; dal 1897 al 1903, come ordinario, letteratura latina a Messina; nel 1903 fu trasferito a Pisa, dove insegnò grammatica latina e greca sino al 1905, quando fu chiamato a succedere al Carducci sulla cattedra bolognese di letteratura italiana.
Il prestigioso trasferimento, accettato come risarcimento tardivo, non rimase senza conseguenze per l'opera stessa del poeta.
Più volentieri che alle relazioni intellettuali e all'insegnamento universitario, da lui sentito come un peso, applicava il suo ingegno allo studio e al lavoro poetico, a cui amava dedicarsi soprattutto in quella casa di Castelvecchio (oggi Castelvecchio Pascoli nel comune di Barga) in Garfagnana, dove s'era sistemato nell'estate del 1895 e che soltanto nel 1902 aveva potuto acquistare.
Qui si ritrovava con Maria, la sua Mariù (procurandogli un grande dolore, Ida s'era sposata il 30 settembre di quello stesso anno 1895, mentre egli aveva rinunciato ai propri propositi matrimoniali), appena glielo permettevano i doveri dell'insegnamento, e qui venne seppellito, pur essendo morto a Bologna.

A Castelvecchio Maria restò sino alla sua morte (1953), gelosa custode delle memorie e delle carte del fratello (poi rese accessibili agli studiosi nell'archivio di casa Pascoli), di cui lasciò un'importante biografia, Lungo la vita di G. Pascoli.
Con la sua ricerca linguistica audacemente sperimentale, aprì la strada alla rivoluzione poetica del Novecento. Con la raccolta Myricae, la poesia italiana sembra scrollarsi di dosso le incrostazioni della tradizione per far riemergere le cose, la natura, fino ai più umili animali e alle più piccole piante, come se fossero stati appena scoperti dall'occhio umano. La metrica, la musica stessa del verso appare più libera, piena di echi e di rinvii che si prolungano nell'animo del lettore. I colori, gli odori e i suoni si mescolano per creare paesaggi e atmosfere che assumono un potere incantatorio, quasi ipnotico. In una prosa del 1897, Il fanciullino, definiva il suo modo di intendere e di fare poesia: il segreto era di affidarsi a uno sguardo nuovo come quello di un bambino che riscopre la realtà, ovvero ricrea il mondo liberandolo dalla patina delle abitudini. Quello sguardo è la poesia stessa dotata di sensi più sottili e audaci in grado di accedere al mistero che circonda la realtà e al dolore che minaccia anche le forme più splendenti.
Pascoli è insieme a Gabriele D'Annunzio il maggior poeta decadente italiano.

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Giovanni Pascoli

Foto ©webpam

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