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Il termine "a secco" è un modo di definire le tecniche della pittura su pareti che non
sono "a fresco", cioè i dipinti realizzati su muri asciutti con colori fissati grazie a sostanze
fissanti, come uovo, colla, grassi animali, olio o cera. L'esempio più antico di pittura a secco
sono le pitture parietali preistoriche, dove le immagini sono disegnate sulla parete
rocciosa con polveri colorate, derivate da argilla o da carbone polverizzato mescolati a grasso
animale. Nel neolitico si perfeziona il supporto e si stendono sulla roccia vari strati preparatori, formati da una specie
d'intonaco contenente della paglia tritata, per contribuire a trattenere le particelle di colore.
Questo intonaco si ritrova anche nei dipinti dell'antico Egitto dove la parete è ricoperta da una malta
di carbonato di calcio, gesso e paglia. Su questo strato asciutto è realizzato il dipinto con i colori
stemperati in gomma arabica.
Una particolare tecnica a secco è utilizzata nei dipinti di Pompei, dove su pareti preparate con diversi strati
di intonaco sono stati ritrovati leganti come il sapone mescolato alla calce, questo perchè la saponificazione ha la
funzione di annullare la causticità della calce. Questo tipo di legante aveva anche la funzione di rendere la
pittura più lucida e compatta. Inoltre gli strati più superficiali dell'intonaco contenevano
polvere di marmo o di alabastro.
Col passare dei secoli, di frequente all'affresco si affianca la tempera su intonaco, per le finiture
e in tutte le parti dell'opera che richiedono colore come il minio, la biacca o il cinabro che, usati a
"fresco" si possono danneggiare a causa delle reazioni chimiche provocate dalla calce.
Il bianco di piombo, o biacca, usato nel disegno e per le finiture a secco mescolato con
olio, si preparava esponendo per circa un mese delle lastre di piombo ai vapori d'aceto conservato in
recipienti di terracotta immersi nel letame. Il deposito che si formava sulle lastre veniva grattato,
lavato e macinato. Questo pigmento, molto tossico, veniva anche usato dalle dame romane come ombretto.
La pittura a secco si è diffusa in ogni epoca e in ogni stile.
La pittura murale del XX secolo è quasi sempre realizzata a "secco" su pareti tinteggiate asciutte.
Gli artisti del Novecento utilizzano prodotti industriali a base di resine sintetiche che garantiscono
un colore molto coprente e stabile.
I più antichi affreschi che si conoscono risalgono alla civiltà mesopotamica, ma la pittura ad affresco è stata
molto praticata nel Medioevo e nel Rinascimento.
Nella pittura a "buon fresco" i colori sono sciolti in acqua e stesi su intonaco ancora umido.
La calce presente nella preparazione si combina con l'anidride carbonica dell'aria generando una pellicola di carbonato
di calcio: i cristalli di carbonato inglobano le particelle colorate rendendo la pellicola
pittorica lucente e resistente nel tempo. Per garantire una perfetta adesione tra parete e colore si prepara il muro
con tre strati d'intonaco: l'arriccio, l'intonaco e il tonachino.
L'arriccio, steso sulla parete bagnata, è lo strato più profondo e ruvido, formato da sabbia, pietrisco, calce spenta
e acqua. Tra il XIV e il XVI secolo, su di esso, si usa tracciare il disegno preparatorio, detto "sinopia".
L'intonaco e il sottilissimo tonachino sono composti da
calce, sabbia sottile e, a volte, polvere di marmo.
Applicati su superfici limitate permettono la lavorazione del dipinto prima dell'asciugatura.
La misura dell'intonaco da dipingere è la "pontata", una larga striscia orizzontale che corrisponde alla lunghezza
del ponteggio: partendo dalla parte più alta, si lavora poi per striscie orizzontali. Per completare la pontata e rendere
il lavoro più veloce, prima
che l'intonaco asciughi eccessivamente, i maestri lavoravano con l'aiuto di altri pittori, seguendo i modelli prefissati.
Col passare dei secoli la pontata è sostituita dal lavoro "a giornate", dove l'intonaco segue l'andamento del disegno
preparatorio. La giornata può essere più o meno grande, a seconda della complessità dell'immagine.
Le linee rette, che hanno la funzione di definire gli spazi, venivano realizzzate con il battere di un filo intinto nel
carbone e fissato a un capo. Il filo lasciava una traccia per la divisione degli spazi. Si procedeva poi, con il carboncino,
al disegno vero e proprio della scena; questa veniva infine ripassata a pennello con la sinopia diluita in acqua, mentre i
tratti a carbone venivano cancellati.
Nell'Ottocento c'è una riscoperta delle tecniche pittoriche tradizionali e quindi anche dell'affresco. Anche i colori
utilizzati sono quelli tradizionali e non risentono delle novità fornite dai colori prodotti industrialmente.
Gli affreschi del gruppo dei Nazareni nel Casino Massimo (1822-1827) sono stati realizzati con stesure molto rifinite
ed accurate, nel tentativo di riproporre con estrema precisone la tecnica e gli effetti dell'affresco Quattro/Cinquecentesco.
Lo strato pittorico è molto liscio, con giornate piccole ed accurate. Queste caratteristiche valgono sopratutto per
le parti dipinte da Friedrich Overbeck.
La pittura ad affresco, pur essendo stabile e durevole nel tempo, è soggetta a deterioramenti dovuti alle muffe, a cause
meccaniche, all'umidità e al deterioramento dei colori.
Per garantire la conservazione di affreschi gravemente danneggiati che si rovinerebbero irrimediabilmente se
lasciati in loco, si procede al distacco "a strappo". Per staccare un affresco bisogna per prima cosa procedere alla pulitura dalla polvere e da materie grasse,
successivamente si stende un denso strato di colla solubile in acqua e sopra si applica un velo di cotone, ripassando
con una mano della stessa colla.
Con colla più fluida si attacca al dipinto a una robusta tela di canapa. Questo procedimento
va eseguito dal basso verso l'alto per evitare colature .La superficie con tela e colla viene fatta asciugare, poi si incidono
i bordi perimetrali dell'affresco e si inizia lo strappo, arrotolando la tela a partire da un angolo inferiore e procedendo
a ventaglio.
Alla fine dello strappo, sulla tela è rimasta solo la pellicola pittorica, che deve essere pareggiata sul retro con delle
raspe. Dopo essere stata consolidata, la pittura viene fissata su un nuovo supporto di tela montata su un telaio oppure su
un supporto rigido. Alla fine si scioglie con acqua la colla iniziale per togliere la tela di strappo e completare
così il trasferimento dell'immagine.
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