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Nonostante già da tempo le icone siano state "scoperte" dall'Occidente, permangono
a proposito di queste sante immagini alcuni errori di valutazione, che risentono della
nostra impostazione culturale e che è giusto eliminare, se vogliamo avere una
corretta conoscenza delle icone.Per prima cosa ci viene spontaneo, per associazione d'idee, abbinare
le icone alla Russia, ritenendo così che esse siano patrimonio esclusivo di quella terra, o
tutt'al più della Chiesa d'Oriente e che non abbiano, quindi nulla a che fare con la cultura
cristiana Occidentale. In realtà quando le icone nascono e si diffondono (a partire dal V -VI secolo)
non esistono divisioni tra le Chiese, anzi la Chiesa è più che mai unita nella lotta alle eresie
nelle definizioni dei primi concilii. La Russia poi, convertitasi al cristianesimo soltanto intorno
all'anno mille, fu l'ultima a riceverle da Bisanzio, della cui Chiesa fu inizialmente una diocesi e
della cui straordinaria arte, rappresentò l'estrema splendida ramificazione.
Le icone sono quindi patrimonio di tutta la cristianità. Prima dello scisma tra la Chiesa di Roma e
quella di Costantinopoli, ( che si definirà poi "Ortodossa" ) avvenuto in maniera
insanabile nel 1054, le icone erano già diffuse da almeno quattro o cinque secoli
in tutto il mondo cristiano, dalla Siria all'Egitto, dall'Oriente Bizantino all'Occidente Carolingio.
Pochi sanno che alcune delle più antiche icone esistenti sono state eseguite a Roma, dove ancora si trovano.
Del resto anche l'arte medioevale italiana, fino a Duccio da Buoninsegna e a Giotto,per citare solo
i più grandi, resta saldamente legata all'icona, ai suoi moduli, ai suoi simboli, al suo linguaggio.
E' molto diffusa l'opinione secondo cui le icone sono semplicemente dei quadri a soggetto
sacro, delle immagini devozionali, come quelle che popolano le chiese, o che esponiamo nelle case
per testimoniare la nostra fede o anche solo per manifestare una tradizione e un gusto.
Dei quadri che talvolta non comprendiamo perchè espressione di una cultura non nostra, ma sempre
dei quadri. In realtà, le icone non possono essere considerate soltanto semplici oggetti d'arte:
in esse c'è molto di più.
In poche parole l'arte dell'icona è in funzione d'altro, è accessorio, è marginale. Ciò che campeggia
nell'icona è Dio, e il mistero di Dio che attraverso l'arte dell'icona viene espresso.
Per la tradizione delle Chiesa, codificata dai Concilii, l'icona è un "Sacramentale partecipe
della sostanza Divina", è il luogo in cui Dio è presente ed incontrabile, una grazia della sua
infinita misericordia, un'occasione per "toccare un lembo del suo mantello".
Per comprendere questo particolare carisma che la Chiesa ha affidato all'icona è necessario
risalire fino agli albori della storia dell'umanità. Già nella preistoria, l'uomo si serviva dell'immagine
per stabilire un contatto con la divinità, e nelle più antiche civiltà si ricorreva all'arte come
mezzo allusivo al Divino (si pensi all'uso del segno simbolico della pittura sacra degli Egiziani
nei papiri, nelle steli, nelle tombe, per raccontare l'incontro dell'anima con gli dei degli inferi).
L'immagine già nelle civiltà precristiane aveva carattere di sacralità, di efficacia, di presenza
attiva. Presso i Romani, ad esempio, nelle province lontane da Roma, per amministrare la giustizia
nei tribunali doveva essere sempre esposta un'immagine dell'imperatore, il "Divus", affinchè il
magistrato in carica potesse agire in suo nome.
Quella imago efficiens garantiva la sacralità di ogni giudizio e di ogni deliberazione,come
se fosse stata presa dall'imperatore stesso, presente a giudicare e a deliberare.
In altre parole, l'immagine assicurava come reale la presenza di chi essa raffigurava.
Questa riconosciuta coincidenza dell'immagine con la presenza della persona raffigurata passa ai
cristiani fin dai primi secoli, così come lo stile in cui essi cominceranno ad esprimere figurativamente
la loro fede.
Si può dunque dire che i cristiani diedero vita e contenuti nuovi
ad espressioni, concezioni, moduli figurativi già esistenti.
Così nelle catacombe vediamo riferire a Gesù l'immagine simbolica del "Buon Pastore", che nell'antichità
classica rappresentava la filantropia, e ancora adattare all'anima che si affida a Dio la metafora
dell'orante, che nel passato aveva rimandato all'ideale della pietas, la virtù dell'uomo devoto
agli dei.
Alcune delle diverse fasi preparatorie e pittoriche della tavola per la realizzazione dell'icona secondo la tecnica degli iconografi bizantini. Da sinistra alcune fasi della doratura. Il processo della brunitura (il gesso viene lisciato e lucidato con una punta d'agata)e della polimentatura, quando viene ricoperto con il bolus, e infine nuovamente lucidato. I sottilissimi fogli d'oro zecchino, applicati sopra il bolus,dopo la lucidatura vengono da ultimo protetti con gommalacca.
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